Da qualche giorno è stata avviata una petizione online che auspica la pubblicazione dei nomi degli interpreti in occasione di servizi televisivi o giornalistici. Ciò consentirebbe al pubblico di associare la voce a una particolare persona, sostanzialmente pubblicizzandone l’operato. La questione presenta alcuni profili di criticità, in particolare in Italia.

In via preliminare, giova ricordare che nome e cognome di una persona sono dati anagrafici e rientrano nei cosiddetti “dati personali”, ovvero “informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica”. Come tali, sono sottoposti alle tutele previste dal Regolamento UE n.679 del 2016, noto ai più come GDPR.
Nel caso della comunicazione pubblica del nome e del cognome dell’interprete, l’emittente radiotelevisiva e/o l’agenzia, in qualità di Titolare e/o Responsabile del trattamento dei dati assumono la responsabilità “dell’uso, della comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione” (art.4, par.1, punto 2 del citato Regolamento), cosa che potrebbe cozzare con la linea editoriale: se tale linea prevedesse di pubblicare il nome dell’interprete, ma questo non prestasse il consenso, peraltro affermando semplicemente un suo diritto, cosa succederebbe? E se ci fossero due interpreti per un collegamento lungo e uno prestasse il consenso e l’altro no? Si sceglierebbe un altro interprete togliendo l’opportunità a quel professionista di lavorare? Si creerebbe uno spartiacque tra chi, a parità di preparazione, offre i suoi dati personali e chi, per ragioni proprie che non vanno neanche spiegate, non desidera farlo? I direttori editoriali saranno d’accordo ad assumersi un tale onere, esponendo la testata alle proteste dei professionisti censurati, magari anche via social media, per non aver assecondato le velleità pubblicitarie di alcuni?

In secondo luogo, si rileva che una situazione come quella descritta costituisce anche un serio rischio professionale. A differenza del passato, oggi non è più possibile occultare il proprio nome. Si dice che “Internet non dimentica”. Se, per qualsiasi motivo, la prestazione fosse imperfetta, quel nome sarebbe inscindibilmente legato a quella prestazione che potrà essere sempre riutilizzata per soppesare la qualità dell’interprete prima di assegnargli un nuovo incarico. Ciò è ben noto a chiunque abbia mai lavorato in televisione, dove le condizioni di lavoro sono tutt’altro che ideali e spesso lontanissime da quelle previste dalle norme ISO sulla qualità del segnale, sull’isolamento acustico e, in alcuni casi, dal buon senso. Al di là del grande sforzo e della smisurata disponibilità che si riscontra normalmente nei tecnici del suono, ci sono oggettivamente situazioni in cui l’interprete è messo nelle peggiori condizioni per lavorare. Di tutto questo, ovviamente, il pubblico non è cosciente, come non è consapevole del fatto che le distrazioni indotte da un audio imperfetto e dai rumori dell’ambiente circostante possono influire negativamente sulla prestazione. Tutto ciò che lo spettatore riceve è la voce dell’interprete, il contorno non gli è noto ed è anche irrilevante che a lui lo sia.

Un terzo aspetto riguarda la sicurezza delle informazioni e, di riflesso, la sicurezza fisica dell’interprete. Senza soffermarsi sulla necessaria e quanto mai opportuna invisibilità dell’interprete, non è infrequente che le conferenze stampa siano interpretate in loco e che il segnale proveniente dalla cabina sia offerto alle testate internazionali che provvedono al suo rilancio sulle reti nazionali. Il nome dell’interprete sarebbe un’informazione assolutamente non difficile da ottenere, così come immediata sarebbe l’associazione interprete = depositario anche di informazioni che esulano da quelle offerte nella conferenza stampa (normalmente l’interprete in loco della conferenza stampa ha anche partecipato alla riunione). Alcune di quelle informazioni, per delicatezza e riservatezza, non finiscono nel flusso informativo pubblico, ma sarebbe ovvio a tutti che quell’interprete le conosce. Se poi quel nome viene riproposto come la voce di X e poi di Y e poi di Z, non è necessario essere agenti segreti per capire che l’interprete ha sentito le notizie non pubbliche di X, Y e Z. Mentre saperlo e non farne menzione è normale per un interprete, meno normale e assolutamente non opportuno è farlo sapere al pubblico.

Qualche tempo fa un’importante associazione di categoria ricordò ai propri membri l’inopportunità di mostrare, attraverso i social media, di aver lavorato per A o per B. Ciò non stupisce. Ci si potrebbe dilungare su alcuni profili di interpreti di livello qualitativo oggettivamente non elevato che pubblicano un post al giorno solo per giustificare la propria presenza sul mercato, ma andremmo fuori tema.

In conclusione, mentre ognuno può valutare in individualmente se aderire o meno all’iniziativa firmando online e sapendo che Internet non dimentica, che il pubblico sappia che la voce di un oratore era quella Maria o Antonio è assolutamente non importante, oltre che potenzialmente pericoloso per l’interprete stesso e per il committente. E’ importante che gli interpreti facciano bene il loro lavoro, come del resto sono abituati a fare, e che il loro impegno autoriale sia sempre riconosciuto, particolarmente in termini contrattuali. Se c’è qualcuno cui è veramente importante lasciare un ricordo del nostro nome è il committente e per motivi che è superfluo spiegare.

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