Una recente notizia comparsa su varie testate, compresa La Repubblica e il sito di TGcom24 (la trovate qui) è che un processo, un altro processo, si blocca perché un interprete non riesce a comprendere né a tradurre quanto detto da un imputato originario di Caserta, il quale usa, senza sapere di essere intercettato, unfa versione particolarmente stretta del dialetto casertano. E lo usa per tanto tempo, al punto che la Procura della Repubblica di Belluno ha accumulato ben 26 ore di registrazioni.
Tra l’altro, si tratta di un processo per maltrattamenti, violenza sessuale e lesioni ai danni di una donna, quindi una cosa estremamente seria.
Et vos, iudicet
Chi ha letto il mio precedente post sugli interpreti inadeguati nei tribunali sa che mi sono riferito a coloro i quali si offrono alle Cancellerie e accettano incarichi che non sono all’altezza di sostenere come “i figuranti che ogni giorno pascolano nei tribunali”. Nello stesso post, ho citato i bassissimi compensi concessi ai periti interpreti e traduttori, che di certo non incentivano i professionisti migliori a farsi avanti.
I giudici, fidandosi del fatto che si tratta di professionisti e consulenti tecnici iscritti in un apposito albo, ma non sapendo a priori con chi hanno a che fare, nominano qualcuno salvo accorgersi dell’inadeguatezza del nominato solo durante il procedimento, con tutte le conseguenze del caso.
In questo caso, il paradosso e’ stato non solo confermato, ma il giudice titolare ha superato se stesso, entrando a pieno diritto nell’Olimpo degli incompresi.
In prima battuta, stando a quanto riportato da tgcom24, avrebbe assegnato l’incarico della traduzione a un “agente salernitano”. Ora, sorvolando sul fatto che i due dialetti sono piuttosto diversi, ma questo il giudice non è tenuto a saperlo, altrimenti non nominerebbe un consulente tecnico, mi chiedo come sia anche lontanamente pensabile affidare un incarico di traduzione non a un Professionista, cioè a un traduttore, ma a un “agente” che per mestiere cattura i malviventi e non fa traduzioni.
E all’improvviso…il genio!
A sostituire l’agente inadeguato arriva nientepopodimeno che un carabiniere, ma stavolta di Caserta. Quest’altro non ha mica detto: “Scusi giudice, ma io per mestiere, acchiappo i ladri, come quello di prima, mica faccio il traduttore…“, cosa che sarebbe legittimato a fare, non essendo obbligatorio accettare l’incarico se esistono oggettivi motivi ostativi. E non fare per professione ciò che il giudice vuole si faccia è un motivo ostativo sufficiente, mi pare. E invece no. Il nostro solerte carabiniere non solo ha accettato l’incarico, ma si e’ anche preso 90 giorni per completare le trascrizioni.
Fin qui i fatti, se tutto ciò che riporta TGcom24 è corretto.
L’analisi che ne può derivare è abbastanza breve e amara.
Da una parte abbiamo un giudice che pensa che una traduzione la possa fare chiunque abbia familiarità con una lingua o un dialetto. Come dire che io potrei farvi ascoltare una Sonata di Bach per il semplice fatto che ho 10 dita, una tastiera in casa e un parente musicista.
Dall’altra abbiamo un agente prima e un carabiniere poi cui viene chiesto di fare non il proprio, ma un altro mestiere e anziché farlo presente, accettano. Non entro nel merito della competenza del perito incaricato, perché non le conosco e per quanto ne so potrebbe avere un titolo di studio coerente con l’incarico ricevuto.
La domanda che mi pongo, alla quale non ho risposta, è se non sia opportuno che i giudici possano attingere a un albo nazionale in cui ci sono periti che svolgono l’attivitaa di traduttore da professionisti istituito presso il Ministero della Giustizia. A onore del vero, trovare un interprete o traduttore in grado di tradurre bene il casertano stretto, che non è certo comune come l’inglese o il francese, non deve essere semplice, ma sicuramente si potrebbero almeno consultare le Associazioni di categoria iscritte nell’elenco del Ministero dello Sviluppo economico che rilasciano l’attestato di qualità dei servizi.
Se, e sottolineo se, l’imputato avesse commesso gli atti per cui viene processato e il procedimento si concludesse con un’assoluzione per l’impossibilità del Pubblico Ministero di provare le accuse a causa di una traduzione lacunosa e possibilmente errata delle conversazioni da parte di qualcuno che traduttore non è, vi sarebbero altre vittime, oltre alla donna che si suppone sia stata oggetto delle violenze.
La prima vittima sarebbe la giustizia stessa, che non sarebbe possibile fare nei confronti dell’imputato.
La seconda sarebbe, per la seconda volta, chi ha subito le violenze, laddove dimostrato.
La terza sarebbe il perito incaricato, che si dimostrerebbe non solo (ancora) inadeguato, ma anche colui che ha contribuito alla “malagiustizia”.
La quarta vittima sarebbe il buonsenso, ucciso senza pietà dal giudice.
La quinta sarebbe reperibile in una fossa comune dove si ritroverebbero morenti i corpi dei traduttori, degli interpreti e delle Associazioni di categoria dei Professionisti.
L’unico vincitore sarebbe il generalismo, alimentato dall’ignoranza, dall’assenza di lungimiranza e dall’indolenza di chi (ancora) crede che la nostra Professione la possa svolgere chiunque, anche chi, per mestiere, fa tutt’altro.