Dopo aver letto, senza alcuna sorpresa, l’articolo sull’inadeguatezza degli interpreti presso il Tribunale di Milano, ho pensato di scrivere all’autore e dire cosa penso della questione.

Egregio Dottore,
prendo spunto dal suo articolo sul Corriere per fare alcune osservazioni sui servizi linguistici resi nei tribunali.

Vorrei iniziare rispondendo alla Sua sollecitazione: il povero Cristo cui capita un interprete inadeguato rischia. Rischia molto. Rischia perché l’avvocato d’ufficio, che spesso si incontra alle udienze di convalida, non sempre ha una conoscenza approfondita delle due lingue. Rischia perché a volte è necessario tradurre “a vista” fascicoli che non si sono mai visti. Rischia perché gli interpreti devono sapere non solo le lingue, ma anche cosa corrisponde a cosa nelle procedure civile e penale. Rischia perché bisogna avere la capacità di rimanere distaccati e non farsi coinvolgere emotivamente quando una vittima o il presunto aggressore raccontano i diversi momenti di uno stupro.

Veniamo poi all’organizzazione. Gli interpreti che lavorano per le procure vengono normalmente convocati dalle cancellerie che consultano l’albo dei periti istituito presso il tribunale. Ma tale albo comprende tutti i possibili consulenti tecnici che il magistrato può incaricare, segnatamente ingegneri, architetti, grafologi e naturalmente interpreti e traduttori. I criteri per l’iscrizione all’albo variano da tribunale a tribunale e questo è uno dei principali problemi.

Nella maggior parte dei casi, il titolo di studio in traduzione o interpretariato (si tratta di due percorsi di studio diversi) è sufficiente. Poiché in Italia la professione di interprete, come quella del traduttore, rientra nelle cosiddette “professioni non organizzate in ordini e collegi”, è stato necessario, dopo un percorso legislativo piuttosto lungo e accidentato, varare la Legge 4/2013, che disciplina per l’appunto tali professioni.

Ora, mentre sul libero mercato chiunque è libero di ingaggiare chiunque e patirne le conseguenze, ritengo un obbligo morale, prima ancora che giuridico, che lo Stato si faccia carico della questione dell’equo processo a carico degli imputati o nella risoluzione di questioni di diritto civile. Ciò sarà impossibile fino a quando non saranno stabiliti criteri di iscrizione agli albi coerenti con la legge sopra richiamata. Gli interpreti che lavorano nei tribunali dovrebbero poterlo fare solo se iscritti alle associazioni di categoria che rilasciano ai singoli membri l’attestato di qualità dei servizi (che arriva solo se si è regolarmente iscritti, si osservano i codici deontologici, si praticano tariffe adeguate e non “al ribasso”, si fa formazione permanente e si garantiscono standard qualitativi elevati) e che sono elencate in una specifica pagina web del sito del Ministero dello Sviluppo Economico.

Una soluzione, in questo senso, potrebbe essere un decreto interministeriale redatto congiuntamente tra il Ministero della Giustizia, il MISE e le citate Associazioni per definire e/o ridefinire:

  • le esigenze di ognuna delle parti coinvolte;
  • i criteri minimi per l’iscrizione degli interpreti e dei traduttori agli albi dei consulenti tecnici d’ufficio dei tribunali;
  • i corsi che potrebbero essere istituiti al riguardo;
  • le tariffe minime da corrispondere.

Non mi soffermo a discutere l’ultimo punto in dettaglio, richiederebbe molto spazio.

Basti sapere, per comprendere, che l’onorario degli interpreti in tribunale è corrisposto non a “giornata”, come nel normale mercato, ma a “vacazione” (due ore, che siano di lavoro o presenza in attesa). Una vacazione ammonta a 14,68€ lordi per la prima vacazione e a 8,15€ per ciascuna delle vacazioni successive fino alla fine dell’incarico, questo ai sensi dell’art.1 del decreto ministeriale 30/05/2002 inerente all’adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale.

Ha letto bene. L’interprete (o il traduttore, per i testi scritti) chiamato a rendere comprensibile cosa succede in aula e fuori all’imputato, agli avvocati, al pubblico ministero, nonché ai testimoni e al giudice in un caso importante, ad esempio di omicidio, che può durare mesi o anni, si mette in tasca circa 4 euro netti l’ora.

Lo stesso potrebbe dirsi per gli interpreti che lavorano in un altro settore del quale le Regioni dovrebbero farsi carico, segnatamente quello sanitario. L’interpretazione del rapporto medico-paziente, quando non anche l’interpretariato in sala operatoria, sono attività delicate e, come si capisce, con conseguenze potenzialmente gravi in caso di traduzioni di dubbia qualità.

Per concludere, le associazioni riconosciute dal MISE possono e devono far sentire la propria voce, ma affinché essa non rimanga vox clamantis in deserto c’è una pari necessità di avere interlocutori disposti ad ascoltare, a mettersi in gioco e a comprendere che la qualità, la preparazione, le conoscenze e le garanzie che un professionista può offrire hanno un costo molto diverso dai figuranti che ogni giorno pascolano nei tribunali.

 

Paolo CAPPELLI
Professionista di cui alla legge 4/2013 Membro dell’Associazione Internazionale Interpreti di Conferenza in Italia (AIIC Italia)
@interpreterpaul


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